
Ben Pastor a “Velletri Libris”: i segreti e le insidie della “grande caccia”
31 Agosto 2020
“Velletri Libris” si prepara al gran finale: Veltroni, Mauro, Terranova e Vespa
1 Settembre 2020La regina del romanzo storico, Ben Pastor, ha pubblicato per Mondadori “La grande caccia”. Un libro costruito sul filo della storia e dell’introspezione psicologica, capace di scavalcare i secoli e arrivare agli anni contemporanei grazie all’eternità di una scrittura attualizzabile in tutto e per tutto. Nell’intervista rilasciata dall’autrice all’ufficio stampa di “Velletri Libris” abbiamo ripercorso l’architettura narrativa, affacciandola sul panorama contemporaneo.
Partiamo dall’antefatto storico: l’ambientazione risale ai tempi di Galerio, nel 306 d.C. Perché proprio questa precisa fase storica?
Perché è un tempo molto simile al nostro in realtà. Quello è un mondo di crisi, di spostamenti di popoli, in cui l’essenza della cultura inizia a cambiare faccia. Oggi, millesettecento anni dopo, si verificano analoghi casi e viviamo un tempo estremamente traumatico ma anche foriero di cambiamenti. Mi sembrava, nel bene e nel male, un ottimo parallelo.
La ricerca storica, come in tutti i suoi romanzi, è accuratissima. È stata particolarmente impegnativa, visto anche il periodo?
Sì. Di sicuro il vantaggio di avere esperienze sia in archeologia che in storia mi ha aiutato. In realtà, però, ho imparato molto sulla Palestina, non conoscevo bene la sua storia antica, né le difficoltà interne di una terra che poi ho scoperto essere molto simili a quelle contemporanee. Il lavoro è stato cartografico, sulla storiografia contemporanea e su quella antica. Reperire i testi, a causa del covid, è stato difficile. Il lavoro della ricerca si è raddoppiato.
Veniamo ai personaggi. Galerio, Sparziano, Elena, Costantino. Individualità diverse che però a un certo punto si incrociano…
Nella storia cerco di far convivere diverse cose: il politico, lo storico, il militare, insieme alla sfera personale e affettiva. Tutto ciò utilizzando personaggi veri. Avevo voglia di fare una lettura psicologica, che noi autori dobbiamo sempre considerare, con dietro personaggi storici che avessero passioni importanti a muoverli. Diventava quindi necessario farli incontrare e scontrare, perché è proprio con il contrasto che esce fuori la nostra spontaneità. Non siamo mai come siamo fino a quando non andiamo in contrasto con qualcosa o qualcuno: lì tiriamo fuori la nostra fragilità e la nostra potenza, due aspetti che amo mostrare.
Si può considerare come filo conduttore questa “fragilità” nata dal contrasto?
Tra uomini e donne ci sono tensioni importanti, tra uomini e uomini, tra donne e donne. Rivelare che nulla è cambiato perché siamo ancora così richiedeva da una parte che disegnassi personaggi di questo tipo, dall’altra che li facessi incontrare.
Tutti, nella grande caccia, cercano l’oro. Sembra essere quello l’obiettivo, in realtà poi si scopre che non è così….
Sì, anche il covid ce lo ha insegnato. Ciò che credevamo di volere e che consideravamo importante nei confronti del resto, della vita, del sopravvivere ha preso un aspetto diverso. Ho cominciato a lavorare al romanzo molto prima della pandemia, e quando lo ho finito mi sono resa conto che era anche una metafora di quello che ci stava succedendo. La ricerca della propria soddisfazione personale, del successo, vengono subordinate a qualcosa di più importante e globale. La ricerca dell’oro quindi va considerata in prospettiva: lo vogliamo davvero o tra quello e la vita, sceglieremmo la vita?
Anche la misteriosa creatura marina può dunque dirsi una metafora, può essere traslata metaforicamente?
In realtà sì, è come la balena bianca. Mentre però la balena bianca è un’ossessione negativa, nel caso di Nepote – e il motivo per cui ho scelto questo nome è il fatto che acab, capitano della nave, significhi ‘nipote’ – è un’ossessione positiva perché non porta alla morte. Se vuoi uccidere hai un’ossessione negativa, se vuoi amare, invece, è positiva. Volevo fare una lettura rovesciata di questo.
Tanto per continuare ad attualizzare il suo romanzo storico, nel covid come ne “La grande caccia” si può dire che in fondo capiamo la facilità di passare da cacciatori a prede?
Già. Noi tutti sappiamo che la nostra vita va messa nelle mani di qualcuno: un avvocato, un esperto, un medico. Ci dobbiamo affidare, sapere che non siamo invincibili. Questa per il mondo moderno è una lezione epocale. Personalmente credo che fra tre mesi ce ne scorderemo, ma un po’ di saggezza di tanto in tanto ci ricorderà che abbiamo avuto paura. La paura permette di non buttarci di sotto quando vediamo qualcosa di profondo.
La paura è una risposta umana da cui accettare la finitezza?
Lo è. L’Italia, poi, ha una popolazione anziana che si è confrontata ancor di più con la propria finitezza. Anche se tutti lo sappiamo facciamo fatica ad accettarla. Adesso è importante ricordare la lezione, ma l’altro pezzo che dobbiamo imparare – appena finirà tutto – è essere felici. Lo dobbiamo a chi non c’è più e anche a noi stessi.
Intervista a cura di Rocco Della Corte