Marco Presta e l’ironia della vita a “Velletri Libris”: “L’umorismo serve a sopravvivere”
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1 Agosto 2022“Il prigioniero dell’interno 7” (Einaudi) è romanzo umoristico ma non troppo, che racconta una storia di lockdown elaborata dopo il lockdown. Marco Presta, brillante scrittore oltre che conduttore radiofonico, traccia il ritratto di un personaggio particolare definibile in un ossimoro: sfigato di successo. Un libro che ritorna su un tema che ha accomunato, in un periodo storico durissimo, tutto il mondo.
In occasione della rassegna “Velletri Libris”, Presta ha passato sotto la lente di ingrandimento le storie capitate al suo personaggio: inventate, romanzate, tratte di sana pianta dalla realtà. Nell’intervista ESCLUSIVA rilasciata all’ufficio stampa della manifestazione di Velletri ha raccontato l’importanza di trovare sempre un lato comico-umoristico, anche nelle cose che sembrano non averlo.
Nel romanzo emerge un lato umoristico della pandemia che forse è stato comune a tutti coloro che l’hanno vissuta. Questa patina umoristica è servita a sdrammatizzare e capire meglio il periodo trascorso, fra rischi e paure?
In realtà il lato umoristico esiste in tutti gli aspetti della vita, sia quelli felici che quelli più tragici. Non è un caso che le grandi commedie italiane raccontino spesso eventi tragici. “La grande guerra”, “Il sorpasso” e altri sono tutti film che risultano abbastanza angosciosi se uno li guarda bene. Anche nel lockdown ci sono stati aspetti grotteschi e umoristici: gente, come racconto nel romanzo, che si faceva prestare il cane per uscire mezz’ora di casa, gente che cantava cose orribili dai balconi. Cose assurde che però ci fanno capire che il lato umoristico c’è e ci serve, e molto, coglierlo. Anche per superare il momento e metabolizzarlo.
Il protagonista di questo libro ha un problema grave: vorrebbe estraniarsi, vorrebbe non essere coinvolto dalle storie altrui, eppure paradossalmente il lockdown non gli dà la possibilità di restare fuori dal mondo, anzi…
Per lui è quello il problema: è un uomo che vive per cavoli suoi, si occupa a stento di se stesso. Improvvisamente, invece, si trova a essere il centro del suo condominio. Tutti si rivolgono a lui, per un motivo o per un altro. Questo gli insegna qualcosa alla fine dell’esperienza, perché un uomo sempre vissuto nel suo fortino improvvisamente e con grandi difficoltà impara a uscire da questo fortino.
Perché ha scelto, per definirlo, l’ossimoro “sfigato di successo”?
Perché è un po’ una definizione, calzante, che mi somiglia e mi piace. Mi capita di sentirmi anche in una situazione privilegiata, mi capita di fare un bel lavoro, di avere un minimo di successo ma continuare a sentirmi inadeguato al mondo. In fondo credo sia la condizione di tante persone.
La sensazione di essere prigioniero tra le mura passa, alla fine del lockdown, oppure rimane in qualche modo nella mente?
Siamo prigionieri della nostra testa, sempre. Siamo prigionieri di noi stessi e quello è il grande carcere da cui dobbiamo evadere. Ed è quel carcere da cui, un pochino, Vittorio comincia a evadere alla fine del romanzo.
Un cenno sulla radio: quanto può ispirare il Marco Presta scrittore quello che si ascolta, dal pubblico e dalla musica, in diretta?
Tanto, tanto. Alcuni racconti e alcuni spunti sono infilati dentro al romanzo. Io ascolto per mestiere la vita vissuta, anche sei in chiave ironica, e inevitabilmente la macino, la rielaboro e la riutilizzo.