
Con Alessandro Robecchi riflessione su “I tempi nuovi”: giornalismo, tv, individualismo e letteratura nel dibattito a “Velletri Libris”
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29 Luglio 2019“Anni di piombo e di tritolo”, l’ultimo libro di Gianni Oliva pubblicato per Mondadori, è una vera e propria antologia storica che analizza le cause e gli effetti dei principali avvenimenti a cavallo tra il 1969 e il 1980. L’autore, uno degli storici più preparati e dei massimi esperti delle dinamiche contemporanee, ha battuto molto nell’intervista rilasciata a Velletri Libris sugli aspetti di memoria collettiva, importanza della scuola, legame fra passato e presente.
Gianni Oliva, uno dei concetti che esprime con più forza nel libro è lo stato dell’arte di una società che ricorda più i carnefici che le vittime…
Per scrivere questo libro le ricerche si sono concentrate sugli anni del terrorismo, ma l’input è una mia esperienza scolastica personale. Ero preside del Liceo “D’Azeglio” di Torino, e sono venuti a chiedermi di mandare degli studenti alla commemorazione dei trent’anni della morte di Carlo Casalegno, direttore de ‘La stampa’ assassinato dalle BR nel 1977 e studente della scuola. I ragazzi sono andati, si sono informati su chi fosse Casalegno, non lo avevano mai sentito nominare. Però quegli stessi studenti sapevano chi era Renato Curcio. Allora ho pensato che quando una collettività ricorda i nomi dei carnefici e dimentica quelli delle vittime c’è un corto circuito della memoria.
Proprio le commemorazioni di eventi storici, personaggi uccisi, stragi diventano sempre più retoriche e poco sentite dall’opinione pubblica. C’è il rischio che diventano delle iniziative dovute ma non percepite?
Sì, io credo che ci sia un grosso rischio. Ma più in generale è rischioso il fatto che la storia contemporanea non è conosciuta. La responsabilità è prima di tutto della scuola, perché si studia poco la storia, e pochissimo quella recente. Un giorno un Ministro ha avuto il coraggio di dire che la storia inizia dalla rivoluzione francese… se non si disperdesse il patrimonio della storia contemporanea acquisiremmo una consapevolezza diversa del nostro presente.
La poca attenzione alla storia nei programmi didattici è una mancanza ‘mirata’ da parte delle istituzioni, visto che cambiano i ministri ma la sostanza e la criticità è sempre tale?
No, mirata no. Ci sono stati periodi in cui la storia recente si è studiata molto. Nell’età liberale si studiava tantissimo la storia del Risorgimento, nel Fascismo si studiava tanto la prima guerra mondiale, che era finita solo tre anni prima. Credo sia una forma di conservatorismo che la nostra scuola ha prodotto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Si continua a prediligere l’antico, anche alle elementari e alle medie oltre che alla superiori. Così i ragazzi sanno delle guerre puniche e non hanno mai sentito Aldo Moro.
Se potesse scegliere un pubblico preferito a cui destinare questo libro, chi indicherebbe?
Assolutamente gli under 30. Tutti quelli che queste cose non le hanno vissute, non ne hanno sentito parlare e forse ne hanno avuto solo qualche accenno in famiglia per memoria dei genitori. Dovrebbero invece conoscere quanto accaduto perché oltre a sapere ciò che è successo si possono scoprire le ragioni per cui sono avvenuti dei fatti. E ci serve tanto anche per il presente.
Rocco Della Corte