
Federico Rampini e la (ri)scoperta dell’America a “Velletri Libris”
8 Luglio 2022
Martedì e giovedì al Chiostro con “Velletri Libris”: ospiti Catena Fiorello e Maurizio De Giovanni
10 Luglio 2022“America. Viaggio alla scoperta di un Paese” (Solferino) è un libro che vuole condurre un’operazione di verità, evitando i pregiudizi e i luoghi comuni, sulla realtà americana. Federico Rampini, giornalista, scrittore e editorialista, avendo vissuto dall’interno le dinamiche di una nazione difficile che è tanto amata quanto odiata, cerca di non omettere nessuno degli aspetti che contraddistinguono la società. In occasione della rassegna “Velletri Libris”, Federico Rampini ha ampiamente argomentato tale punto di vista, cercando di trasmettere al pubblico la sua visione, che vuole essere oggettiva, delle cose. Nell’intervista ESCLUSIVA rilasciata all’ufficio stampa della manifestazione di Velletri sono stati approfonditi alcuni punti del saggio.
La scoperta dell’America nel 1492, adesso lei parla di riscoperta dell’America. Perché proprio questo termine?
Riscoperta perché abbiamo tutti bisogno di riscoprire l’America. È un Paese che incombe su di noi e cambia molto, l’America. Quella che io ho conosciuto da ragazzo e da immigrato recente – 22 anni fa – era molto diversa da quella di oggi. Io non finisco mai di riscoprirla, e credo che tutti ne abbiamo bisogno. C’è anche una grande curiosità e forse un sedimento di pregiudizi da superare, sull’America.
A proposito di pregiudizi – di cui parla molto nel libro – quando lei è arrivato in America, aveva ugualmente dei preconcetti oppure era coltivava il mito americano? In altre parole, come si è posto nei confronti dell’America?
Avevo un mito americano. La conoscevo già bene, ma la frequentavo da turista o per lavoro, essendoci stato come inviato. Racconto anche il mio primo viaggio, nel 1979, quando avevo 23 anni, perché fu molto particolare.
Questo mito si è confermato o mitigato, nel tempo e con la permanenza in USA?
In parte confermato, soprattutto all’inizio. I primi anni di vita a San Francisco sono stati la conferma di un sogno. Poi ho cominciato anche a vederne anche gli aspetti negativi e non nascondo nulla. Nel libro ne parlo apertamente, non è un libro che difende l’America, bensì la spiega e la racconta.
Il cinema e la letteratura influiscono nell’immaginario che la gente comune ha dell’America? Definiscono un’immagine migliore o peggiore della realtà?
Influiscono. Direi che influiscono e basta, non so se meglio o peggio. Sono fotografie dell’America, qualche volta possono risultare tendenziose. Ci sono dei filoni letterari o cinematografici, o anche le serie televisive, che possono contribuire a degli stereotipi.
Come definirebbe la differenza di mentalità tra l’America e l’Europa?
Le differenze sono enormi. Tra l’Europa e l’America c’è ancora un oceano di mezzo e si vede.
Perché́ è impossibile avere una conversazione in inglese con un tassista di New York?
Perché sono tutti immigrati di recente e di solito parlano l’inglese peggio di noi (sorride, ndr).
Intervista a cura di Rocco Della Corte