Il Premio “Velletri Libris” si propone di dare voce agli scrittori, esordienti o meno, che propongono alla giuria racconti di qualità. La formula del racconto, infatti, è apparentemente più semplice ma nasconde molteplici insidie a livello di trama, stile, registro e tema. Alessandro Manzi, con il suo “Palinsesto”, è uno dei vincitori dell’edizione 2022 e ha inoltre meritato la menzione speciale dedicata al grande linguista Luca Serianni, recentemente scomparso. La menzione è stata assegnata dalla Fondazione De Cultura, organizzatrice del premio e della rassegna “Velletri Libris”. Manzi, che già aveva vinto la prima edizione del Premio ormai quattro anni fa, nel pre-serale della cerimonia di proclamazione svoltasi a Velletri, nella cornice del Chiostro della Casa delle Culture e della Musica, ha raccontato sia la sua esperienza letteraria che quella relativa al singolo racconto presentato in concorso.
La menzione speciale “Luca Serianni” è stata assegnata a un suo racconto: ad essere premiato, oltre al racconto stesso, è stato il linguaggio così ficcante e calzante per la situazione descritta…
Il linguaggio nel caso del mio racconto è fondamentale perché niente è meglio del linguaggio, di certe parole, di certi modi di dire per rendere una situazione e soprattutto il ceto sociale, tra virgolette, dei personaggi. La scelta di ambientare la storia a Roma rientra in questo discorso: siamo in un quartiere popolare, quindi con tipiche espressioni dialettali, e spuntano le frasi di un nuovo linguaggio, perché a un certo punto c’è una serie di sms fra uno dei protagonisti e il suo ragazzo. La scelta del linguaggio penso che sia fondamentale.
Come nasce “Palinsesto”?
“Palinsesto” nasce dalla contrapposizione fra una famiglia perfetta, che non esiste, e quelle che sono le famiglie che s’incontrano nella realtà di ogni giorno. Quella di Aurelio Cecchini è una famiglia disastrata, Aurelio soffre il confronto con la famiglia ideale inesistente perché le famiglie perfette non esistono –anche secondo una teoria di sua zia Adalgisa – per cui in un primo momento preso dalla disperazione personale è quasi tentato di distruggere la famiglia. Poi la ragione prevale e quella che viene distrutta è la famiglia perfetta che esiste solo in tv e nelle pubblicità ma non nella vita di ogni giorno.
Un messaggio implicito forte. Oggi la letteratura ha il dovere morale di avere una funzione sociale o veicolare messaggi, anche solo in maniera accennata?
Non lo so, forse questa funzione di lanciare messaggi è tipica degli anni Settanta, adesso forse è superata. Però è chiaro che il raccontare storie implicitamente porta sempre a riflettere e tirare conclusioni.
Scrittore preferito?
Diego De Silva mi è molto simpatico. Ma ho una predilezione per gli scrittori spagnoli, come Aramburu.
Progetti futuri a livello editoriale?
No, è appena uscito un libro in cui ho raccolto tutti i racconti scritti finora, spinto un po’ dagli amici e dalla voglia di rivederli riuniti in un unico volume. Il libro è “Volevo essere Cortázar”, edito da Ensemble, e per il momento la fatica è terminata. “Palinsesto” è il primo dei racconti che ho scritto dopo l’uscita del libro.
Menzione speciale ad Alessandro Manzi: Un racconto lucido e intenso che delinea il ritratto di un tipico interno familiare scandendo le fasi della giornata in precise attività che ora per ora fanno somigliare la quotidianità a un palinsesto televisivo. Nota di merito per il linguaggio soppesato, incisivo e a tratti dissacrante.
Interviste ai premiati a cura dell’ufficio stampa del Premio “Velletri Libris”
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