
Simonetta Agnello Hornby e i tanti motivi per la “Cuntintizza” a “Velletri Libris”
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8 Luglio 2022“La cuntintizza” (Mondadori) è un libro che passa in rassegna le gioie della vita, attraverso una scrittura a quattro mani sapientemente orchestrata da Simonetta Agnello Hornby e Costanza Gravina, sua nipote. Attraverso le tradizioni della cultura siciliana, di fronte a un aperitivo che è ponte fra generazioni, le due donne censiscono quelle piccole cose che rendono gioiosi pur non essendo eclatanti, almeno non per il mondo esterno.
In occasione della rassegna “Velletri Libris”, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby ha raccontato il suo concetto di “cuntintizza”, affinato con la pandemia che ha cambiato la vita di tutti. Nell’intervista ESCLUSIVA rilasciata all’ufficio stampa della manifestazione di Velletri sono stati approfonditi alcuni concetti cruciali del libro.
Scrivere un libro a quattro mani è un’esperienza particolare, ma stavolta per lei è stato più particolare del solito…
Io ho scritto tanti libri a quattro mani perché mi piace compiere questo percorso con qualcuno e confrontarmi con quella persona, nonché condividere le idee. Questa volta è stato diverso perché a scrivere siamo state zia e nipote. Io non ho figlie femmine, e Costanza – che è figlia di un mio cugino con cui ho un rapporto fraterno – è come se fosse anche mia figlia. Ho avuto coraggio a chiederle di scrivere con me: lei già aveva scritto articoletti, su internet, ed è stata una gioia fare questo percorso con lei.
L’aperitivo è una specie di collante fra le generazioni. Ci si vede, si beve qualcosa, ci si confronta. È nato tutto da lì?
Sì. Io bevo poco mentre Costanza beve di più. Lei scrive proprio di cocktails. È stato belo che fosse lei a insegnare a me delle cose e non il contrario. È stato questo il punto di partenza.
Una scrittura a quattro mani di un libro che si occupa di “cuntintizze” richiede tempo: quali sono stati gli ostacoli maggiori?
Il periodo di stesura del libro è stato quasi di un anno. Avevamo come editor l’amico Alberto Rollo, che è uno Dei più bravi in assoluto al mondo, ed è stata una cosa bella lavorare insieme. Costanza parlava con Alberto ma non come, Alberto parlava con me ma non mi diceva di Costanza. È stata una gioia scriverlo: io mandavo dei pezzi, lei mandava i suoi, Alberto prendeva tutto, discutevamo di tante cose. Lo ricordo come un periodo gioioso di unità mentre io ero chiusa in casa per il covid, come tutti.
La pandemia ha spesso sollevato il tema delle priorità della vita, delle gioie del quotidiano, delle abitudini a cui non si dà valore che poi emergono nella loro forza quando ci vengono tolte. Questo libro sulle “cuntintizze” raccoglie l’eredità del post-covid?
Il libro è stato scritto proprio durante la pandemia, non dopo. Mi ha aiutato pensare a cosa si mangia, cosa si beve, com’era la vita prima. A mio avviso si vede, inoltre, nel testo, che sia Costanza che io abbiamo un enorme amore per la famiglia e per la nostra patria.
Queste piccole gioie spesso vedono i lettori identificarsi: notare le piccole cose, scoprire ciò che ci rende felici nel dettaglio. È un obiettivo del libro far immedesimare il lettore, vista anche la presenza di un catalogo?
Sì, perché le cuntintizze non finiscono mai e c’è cuntintizza in tutto. Dico che nella vita c’è il dolore in tanto ma non in tutto. La cuntintizza invece si trova, se si vuole, dovunque. E parlo anche di cose serie, che magari non ho scritto in questo libro.
Ad esempio?
Anni fa è morto un mio carissimo amico e al funerale, posando un fiore sulla sua bara, ho sentito tanta cuntintizza: come se lui mi rispondesse. Lo ricordo benissimo. Una sensazione che resta.
Intervista a cura di Rocco Della Corte