Veronica Pivetti, fra ironia e omicidi alle prese col romanzo giallo: “Impossibile non accettare questa sfida”
31 Agosto 2022La serata d’onore e il premio letterario protagonisti del sabato di “Velletri Libris”
6 Settembre 2022“Tequila Bang Bang. Un giallo messicano” (Mondadori) spiazza i lettori. Li prende alla sprovvista perché è pieno di spargimenti di sangue, di luoghi, di colpi di scena e perché è scritto in maniera frizzante, dinamica, estremamente scorrevole. Non spaventano, dunque, le oltre quattrocento pagine: non c’è proprio il tempo di annoiarsi.
Un volume che rispecchia la vena letteraria di Veronica Pivetti, al suo quarto libro, e per la prima volta alle prese col romanzo giallo comico. Una serie di ingredienti che rendono la lettura piacevole e appassionante, alcuni dei quali sono stati al centro dell’intervista ESCLUSIVA rilasciata all’ufficio stampa della manifestazione “Velletri Libris”.
Tre protagoniste, caratteri opposti. Come si compongono tre profili così differenti all’interno della stessa narrazione?
Inventando molto. Anzi, inventando molto ma prendendo molto da chi conosci e dalla realtà. Anche molto da te stesso, naturalmente, perché è chiaro che peschi nel tuo patrimonio, in ciò che hai conosciuto. E poi è molto bello fare questo misto. Inoltre le mie tre donne – lo dico perché è nel risvolto di copertina, non perché voglia rovinare la sorpresa – sono una ex spogliarellista, la sua mamma molto cattiva e snaturata, e il suo ex marito che diventa una signora, da Alessandro diventa Corinna. In realtà c’è una quarta protagonista in questa storia, una scarpa…
Anche l’ambientazione è itinerante. In questo libro si vaga molto.
Sì, e ci si complica la vita quando lo scrivi perché ci sono fusi orari di tutto il mondo e non vi dico il casino per far quadrare le cose. Ma siccome in un giallo le cose devono quadrare, come in tutte le storie, mi sono complicata la vita facendolo svolgere un po’ a Roma, un po’ in Messico, un po’ in Cina e un po’ a Marsiglia.
Colpi di scena, tanto sangue, eppure è un romanzo che fa ridere. Una contraddizione?
È venuto da sé. Io mi sono scoperta ancora più efferata di quanto pensassi. Di essere una carogna lo sapevo, ma non così (ride!). Non pensavo di essere così cattiva e assetata di sangue. Il bello di dare la vita e di toglierla, e parlo da narratrice naturalmente, è uno spasso e non escludo di specializzarmi anche dal vivo (ride).
È stato terapeutico come spasso?
Altroché. È stato un grande lavoro di fantasia, anche se poi mi sono documentata come una pazza per scrivere. Ma è stato bellissimo esagerare, premere sull’acceleratore il più possibile. L’importante è non essere mai arbitrari, poi fantasiosi si può essere quanto lo si vuole. Io come sempre sono grata alla scrittura perché è il mezzo che mi permette più di tutti di dire la mia verità, che spesso coincide con quella assoluta per quanto mi riguarda (ride). Quando reciti menti perché interpreti altro da te, quando scrivi invece sei quello che pensi. Nonostante tutti i morti, le dita mozzate, gli occhi cavati e le teste spappolate che si trovano in questo libro, sghignazzando, mi sono identificata in molti dei miei personaggi, anche i peggiori.
È stata la fantasia a consentire un cambiamento così radicale nello stile e nel registro rispetto a “Per sole donne”, che aveva un clima ben diverso?
Sì, ma in fondo era efferato anche quello di libro, seppur in un altro senso. Quello era un romanzo erotico-comico, questo è un romanzo giallo comico. Una commedia, anzi un “comico fratto commedia”. La fantasia la devi liberare, io scrivendo – e parto dal primo libro, che risale a dieci anni fa – ho scoperto di averne così tanta. Personalmente mi ritenevo poco creativa, poi andando avanti ho capito che forse lo ero e alla fine penserei di esserlo almeno in minima parte.
Ultima domanda: c’è un linguaggio particolare, ironico ma dotto, comico ma forbito, e dialogando con Veronica Pivetti rispecchia molto la sua personalità. È così?
Sono contenta che si sia notato. In effetti è stata una ricerca. Questo è il libro in cui ho dato maggiore attenzione al linguaggio, ci tenevo moltissimo, per cui è vero che ci sono dei termini alti, non c’è dubbio. Ci sono termini molto pop, c’è il gergo, il dialetto, parole rarissime di cui nessuno conosce il significato. Durante le presentazione molti mi chiedono il significato di alcune parole che invece io uso da sempre perché la mia mamma me le ha insegnate. E poi c’è il segreto: mio nonno Aldo Gabrielli era un linguista e un autore di vocabolari per cui in casa mia bisognava parlare bene. Alla fine ho un po’ deviato col turpiloquio, però è una varietà del linguaggio anche quello… (ride).
Intervista a cura di Rocco Della Corte