“La fine di Roma. Trionfo del Cristianesimo, morte dell’Impero” (Einaudi) è l’ultima fatica letteraria di Corrado Augias. Una fatica frutto di più di due anni di lavoro, svolto con certosino impegno e con una grande mole di documenti da analizzare e mettere a sistema.
Corrado Augias va a far luce su una fase storica che la cronologia circoscrive ad un periodo definito, ma che in realtà ha dei risvolti molto più ampi che affondano radici nel lontano passato e che si concretizzano, giorno dopo giorno, in una sorta di lento ma inesorabile processo di trasformazione culturale. Nell’intervista ESCLUSIVA rilasciata all’ufficio stampa della manifestazione “Velletri Libris” alcuni di questi risvolti vengono passati in rassegna, per una chiave di lettura originale e precisa.
La fine di Roma somiglia a due figure opposte e strettamente connesse, si dice nella quarta di copertina. Ci racconta queste due figure che si rispecchiano l’una nell’altra?
Certo. È un momento che può essere letto da una parte e dall’altra. O lo leggi come la fine di un mondo o come l’inizio di un mondo. Questo è il fascino particolare che hanno queste storie. Avvengono a cavallo tra due civiltà, due culture e due epoche: due figure, cioè due lottatori, come quell’immagine suggerita nella descrizione della quarta di copertina, che si avvinghiano non per abbracciarsi ma per sopraffarsi.
Quali sono state le prime avvisaglie, forse sottovalutate dagli imperatori, di questa vera e propria “rivoluzione cristiana”?
Veramente non credo sia mai stata sottovalutata la rivoluzione cristiana. Sin dai tempi di Nerone, e parliamo dunque del 64 – se dobbiamo credere alla cronologia ufficiale sono pochi anni dopo la morte di Gesù – quando dovette dare la colpa a qualcuno per il rogo di Roma la attribuì ai cristiani. Dunque è precoce la loro presenza, poi si è complicata quando i cristiani sono stati visti come nemici dell’Impero e allora sono cominciate le persecuzioni.
Il cristianesimo dà l’idea di essere cresciuto molto velocemente, intorno all’Impero Romano, e di essersi diffuso rapidamente o anche questa è una delimitazione cronologica che ci imponiamo e in realtà il confine temporale è più largo o labile?
Se pensiamo che Costantino ha fatto il suo editto nel 313, cioè all’inizio del quarto secolo, la velocità è relativa. Quando Costantino promulga l’editto i cristiani erano ancora una piccola minoranza all’interno dell’Impero per il quale si calcolano 70 milioni di abitanti. Fu una diffusione molto lenta e contrastata, nel libro ne racconto la storia.
Nel “Congedo” parla addirittura di rammarico, riferendosi al suo doversi “separare” da figure come quella di Marco Aurelio…
Marco Aurelio è una delle figure che amo di più, per una ragione semplice. Volendo si può riassumere con il fatto che è stato un uomo politico, un capo militare e un imperatore che è riuscito a conservare, pur nell’esercizio del comando, una forte umanità, addirittura poetica. Ora, quanti sono, anche oggi, gli uomini politici di vero potere che sono riusciti a mantenere una simile umanità?
Ventisei mesi di lavoro su questo libro. Un’opera cui si è affezionato?
Inevitabilmente. A me quest’epoca piace e affascina molto, vedere la fine di Roma, la fine dell’Impero è un momento che mi commuove molto. È stata un’immensa civiltà, come cerco di spiegare nel libro.
Intervista a cura di Rocco Della Corte
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