Mara Santangelo a Velletri: “La vera sfida è non perdersi d’animo di fronte alle difficoltà”
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3 Agosto 2017Match point. Il gioco della vita è il secondo libro di Mara Santangelo. Dopo una carriera sportiva che l’ha vista ai vertici del tennis femminile per molti anni, l’atleta di Latina è alla sua seconda esperienza editoriale. Già con Te lo prometto la sua carriera sportiva, ma anche quella spirituale, avevano trovato spazio. Adesso Match Point si pone come un invito alla riflessione e alla fiducia, in relazione alle difficoltà della vita. In una breve intervista la scrittrice ha risposto, gentilmente e con la cordialità che la contraddistingue, ad alcune domande.
Mara Santangelo, lei nel suo libro parla delle sofferenze e delle difficoltà della vita e di riflesso anche relative allo sport. Cerca in qualche modo di sfatare il cliché che esiste intorno ai campioni sportivi, nel sentore comune sempre sorridenti e felici, viste le difficoltà che vengono raccontate?
In questo racconto, Match point, ci sono tantissimi spunti di riflessione. Uno di questi è sicuramente quanto sia dura la vita dello sportivo, non solo di alto livello, e di chiunque voglia raggiungere un obiettivo in qualunque ambito. Ci vogliono sempre molta determinazione, molto lavoro, coraggio, voglia di non arrendersi e di andare avanti nonostante le difficoltà. Le prove difficili sono sempre presenti nel nostro percorso, ma se si è in grado di superarle fortificano e fanno crescere. Io ho cercato di raccontare questo processo nel mio libro, anche attraverso la mia esperienza, per dire come grazie alla determinazione sia riuscita a raggiungere quei risultati che mi hanno portato nelle prime posizioni del mondo tennistico.
Uno degli aspetti più interessanti su cui ci si è soffermati nel dialogo è quello della fede. Durante il confronto con Ezio Tamilia lei ha detto: “C’è un momento in cui il campione sente di dover smettere”. Secondo lei esiste anche un momento giusto per avvicinarsi alla fede?
Nel mio caso è stato così. È bello ritrovare storie del genere nelle vite di tanti altri sportivi, ad esempio leggevo giusto ieri la storia di una campionessa croata di salto con l’asta che ha riscoperto la fede durante un periodo molto difficile. Io penso che il Signore sia sempre presente nelle nostre vite, solo siamo noi ad essere distratti, pensiamo ad altro e non siamo ricettivi, non tendiamo all’ascolto. Lo siamo di più nel momento della sofferenza e lo stesso è stato anche per me. La decisione di smettere di giocare a tennis è seguita a un infortunio al piede, che poi si è trasformato in una operazione, e lì mi sono dovuta fermare sia fisicamente sia mentalmente per capire che cosa avevo nel cuore, capire chi era la vera Mara e farmi quelle domande che penso ognuno di noi a un certo punto della nostra vita si fa: “Chi sono? Cosa voglio? Dove voglio arrivare? Qual è la mia strada e il mio scopo?”. Alla fine ho capito che la nostra strada in qualche modo è già decisa e che Dio ci ama con tutte le nostre imperfezioni.
Un binomio emerso e altrettanto intrigante è quello dei giovani e della paura. Lei ha detto che la paura è un sentimento anche nobile, e che soprattutto nel rapporto instaurato con i giovani durante gli incontri che tiene ha trovato molta incertezza. C’è una paura della paura, cioè di ammettere di aver paura?
Assolutamente. Un bellissimo riscontro che ho avuto diverse volte in incontri come questo, che ritengo illuminanti per la capacità di trasmettermi dei feedback, mi è giunto da una signora che mi ha ringraziato e fatto i complimenti per poi esternare questa paura di ammettere la paura. E questo non avviene solo nei giovani, ma in tutti noi che viviamo in una società dove devi essere per forza il più bello, il più di successo, il più ricco, senza aver tempo di guardarsi allo specchio e chiedersi se abbiamo paura e se abbiamo dei difetti. È difficile tirar fuori certe cose perché la società ci richiede di essere perfetti. C’è assolutamente paura di esternare la paura e credo che ci vogliano delle persone, e io cerco a tal proposito di essere una testimone, che parlino di questo. In particolare di quelle persone che hanno avuto tutto e hanno raggiunto il successo, ma hanno avuto il coraggio di fermarsi per esaltare le fragilità, le debolezze, e tirarle fuori. Non è stato facile neanche per me provare a esternare queste sensazioni nel mio libro, tuttavia se posso originare una rinascita mi sento chiamata a farlo o a provarci.
Quanto la scrittura e la letteratura hanno influito su questo percorso e sulla volontà di mettere a nudo la propria esperienza?
Senza dubbio scrivere mi ha aiutato tantissimo a focalizzare e a rendere chiaro quello che avevo dentro il cuore. Penso proprio che la scrittura sia una terapia fantastica per aiutarci a tirare fuori e tenere a mente quello che vogliamo e quello che abbiamo fatto nella nostra vita. Molto spesso ci dimentichiamo degli aspetti e degli episodi perché la nostra predisposizione, umana, è quella di vedere di più le cose negative rispetto a quelle positive. Ognuno fa mille cose positive, ma se succede un’esperienza negativa rimane impressa maggiormente. Scrivere allora può aiutare a ricordare la meraviglia che sei.
Rocco Della Corte
con la collaborazione di Valentina Leone